Inconscio collettivo


Quali autori non riconoscono l'esistenza di un "inconscio collettivo"?


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Quali autori non riconoscono l'esistenza di un "inconscio collettivo"?

L’idea di un “inconscio collettivo” è stata proposta e sviluppata soprattutto da Carl Gustav Jung. Non tutti gli studiosi di psicologia o di psicoanalisi, però, hanno accettato o accettano questa nozione. In linea generale, ecco alcune correnti e autori che non riconoscono (o comunque non adottano) il concetto di “inconscio collettivo”:

  1. La psicoanalisi classica freudiana

    • Sigmund Freud (1856–1939): pur avendo influenzato profondamente Jung in una prima fase, Freud non ha mai accettato la nozione di un inconscio collettivo come lo intendeva Jung. Per Freud esiste un inconscio “individuale” (formato da pulsioni, rimozioni, desideri inconsci legati alla storia personale del soggetto), ma non un livello psichico universale che contenga “archetipi” condivisi da tutta l’umanità.

    • Di conseguenza, gli psicoanalisti freudiani “ortodossi” – come alcuni seguaci diretti di Freud o altri esponenti della Società Psicoanalitica Internazionale – hanno tendenzialmente ignorato o rifiutato il concetto junghiano di inconscio collettivo, concentrandosi invece su conflitti, dinamiche edipiche e processi di rimozione individuali.

  2. Le correnti post-freudiane che non integrano Jung

    • Vari autori post-freudiani (es. Anna Freud, Melanie Klein, Donald Winnicott, Wilfred Bion), pur avendo sviluppato modelli dell’inconscio più complessi, non hanno comunque abbracciato l’idea di un inconscio “collettivo” nel senso junghiano. Hanno lavorato soprattutto su dinamiche relazionali o sui processi intrapsichici individuali.

    • Jacques Lacan (1901–1981) e il suo seguito hanno radicalmente reinterpretato l’inconscio freudiano in chiave linguistica e strutturalista: anche qui, non esiste uno spazio per un inconscio “collettivo”, ma piuttosto un inconscio definito dal linguaggio, dalle strutture simboliche e dalla posizione soggettiva.

  3. Approcci comportamentisti e cognitivi

    • John B. Watson (1878–1958) e, in generale, i comportamentisti (tra cui B. F. Skinner) non davano praticamente alcun rilievo ai processi intrapsichici “profondi”, figurarsi a un livello collettivo. Concentravano le loro ricerche e teorie su comportamenti osservabili e condizionamenti ambientali.

    • Gli psicologi cognitivi e i cognitivisti classici (ad esempio Ulric Neisser, George A. Miller) non utilizzano la nozione di inconscio collettivo. Il loro focus è sul funzionamento mentale – memoria, attenzione, processi di pensiero – nella mente del singolo individuo, senza riferimento a un serbatoio psichico collettivo.

  4. La psicologia accademica mainstream

    • Molti psicologi e accademici (al di fuori della cornice psicoanalitica o junghiana) non riconoscono l’esistenza di un inconscio collettivo come postulato da Jung. Più che un esplicito “rifiuto” teorico, si tratta spesso di una mancata integrazione del concetto, considerato non dimostrabile empiricamente e non in linea con i paradigmi scientifici dominanti.

In sintesi, gli autori che non riconoscono (o che non hanno mai riconosciuto) l’esistenza dell’“inconscio collettivo” sono soprattutto:

  • Freud e i suoi seguaci (psicoanalisi classica e ortodossa),

  • le varie scuole psicoanalitiche post-freudiane (Klein, Anna Freud, Lacan, Bion, ecc.) che mantengono altre idee sull’inconscio,

  • i comportamentisti (Watson, Skinner) e, in larga misura, i cognitivisti,

  • la maggior parte dei ricercatori di psicologia sperimentale e accademica che tende a rifiutare o a ignorare i modelli junghiani sull’inconscio collettivo in quanto ritenuti non verificabili o estranei al proprio paradigma di ricerca.