L’assenza di problemi è un problema. Perciò chi non ha problemi li crea.
Questa affermazione paradossale mette a nudo un tratto profondo della natura umana: la difficoltà a vivere nella piena quiete. L’idea che l’assenza di problemi possa essa stessa diventare un problema suggerisce che l’essere umano, lungi dal cercare solo la pace e la stabilità, abbia un bisogno strutturale di sfida, conflitto, movimento. Quando tali elementi vengono a mancare, la psiche sembra trovarsi in uno stato di sospensione insostenibile, che richiede un qualche attrito per ritrovare senso, orientamento, persino identità.
Nelle società opulente, dove molti problemi pratici sono stati risolti o delegati alla tecnologia e all’organizzazione, si osserva spesso una tendenza a generare nuovi problemi artificiali. Ci si accapiglia su dettagli, si esasperano differenze minime, si moltiplicano esigenze e paranoie. La mente, priva di una minaccia esterna, si volge verso l’interno o verso l’altro, creando inquietudini e scontri. In psicologia, questo meccanismo è noto: l’ansia, privata di un oggetto reale, tende a trovare bersagli immaginari o simbolici. E anche nella filosofia, pensatori come Nietzsche o Kierkegaard hanno osservato che la noia — figlia del benessere — è un motore potente della distruzione o della creazione.
La creazione di problemi in assenza di problemi può essere letta, dunque, in due modi: come segno di una decadenza (l’incapacità di godere della serenità, la nevrosi del superfluo), oppure come sintomo di una forza creativa in cerca di direzione (il bisogno di superare se stessi, di inventare nuovi scopi). La differenza sta forse nella consapevolezza: chi inventa problemi per non morire di noia può scivolare nel vittimismo o nel conflitto sterile; chi invece riconosce l’energia che si libera nell’assenza di ostacoli, può incanalarla in gioco, arte, sperimentazione.
In fondo, il problema non è non avere problemi, ma non sapere cosa fare con la libertà che ne deriva.
La tesi "L'assenza di problemi è un problema. Perciò chi non ha problemi li crea" è un'affermazione paradossale che invita a riflettere sulla natura umana e sulla nostra relazione con le sfide. A prima vista, potrebbe sembrare controintuitiva: chi non vorrebbe una vita priva di ostacoli? Eppure, analizzando più a fondo, emerge una verità scomoda: la completa assenza di problemi può, in effetti, generare una forma di disagio o stagnazione.
Gli esseri umani sono intrinsecamente orientati alla risoluzione. Fin dalla preistoria, la nostra sopravvivenza è dipesa dalla capacità di affrontare e superare ostacoli, che si trattasse di trovare cibo, difendersi dai pericoli o costruire rifugi. Questa predisposizione alla "problem solving" non è solo una questione di necessità, ma anche una fonte di crescita, apprendimento e significato. Quando ci troviamo di fronte a una difficoltà, siamo costretti a mobilitare risorse, sviluppare nuove strategie, acquisire conoscenze e, in ultima analisi, evolvere.
Cosa succede quando questa costante spinta viene meno? In un'esistenza priva di problemi, la noia può facilmente prendere il sopravvento. La mente umana, abituata a essere stimolata e a cercare soluzioni, può ritrovarsi in uno stato di inerzia che genera un senso di vuoto o insoddisfazione. È in questo contesto che la seconda parte della tesi acquista senso: "chi non ha problemi li crea". Non si tratta necessariamente di un atto consapevole e deliberato di autolesionismo, ma piuttosto di una tendenza intrinseca a generare complessità o sfide, anche dove non esistono oggettivamente, pur di riempire quel vuoto.
Pensiamo all'ambito lavorativo: un compito troppo semplice o ripetitivo può portare a una diminuzione della motivazione e della produttività. Al contrario, una sfida stimolante, pur se difficile, può accendere l'ingegno e l'entusiasmo. Anche nella vita personale, l'assenza di obiettivi o di "problemi" da risolvere (come imparare una nuova lingua, dedicarsi a un hobby complesso, o affrontare una relazione) può portare a una sensazione di apatia. Storicamente, molte civiltà, raggiunta l'apice del benessere e della stabilità, hanno iniziato a sperimentare forme di decadenza interna, forse proprio per l'assenza di nuove sfide esterne che le mantenessero dinamiche e resilienti.
In conclusione, la provocazione "L'assenza di problemi è un problema" ci invita a riconsiderare il nostro atteggiamento nei confronti delle difficoltà. Lungi dall'essere meri ostacoli da evitare a tutti i costi, i problemi sono spesso catalizzatori di progresso, innovazione e crescita personale. Accogliere le sfide, anziché fuggirle, ci permette di rimanere attivi, resilienti e di dare un senso più profondo alla nostra esistenza. Forse, in fondo, la vera tranquillità non risiede nell'assenza assoluta di problemi, ma nella capacità di affrontarli e, attraverso essi, continuare a evolvere.