Sì, è possibile. La meditazione viene spesso presentata come una pratica universale e innocua, ma — come qualunque strumento psicologico o fisico — può avere effetti indesiderati se usata in modo eccessivo o non adatto alla propria situazione. Non succede a tutti, ma alcuni fattori rendono questo rischio più concreto.
Ecco i principali modi in cui una pratica troppo intensa o frequente può diventare controproducente:
1. Effetti psicologici indesiderati
Aumento dell’ansia: alcune tecniche, specie quelle che portano a un’attenzione intensa e prolungata sugli stati interni, possono amplificare pensieri o emozioni disturbanti anziché calmarli.
Derealizzazione o depersonalizzazione: sedute lunghe e molto frequenti, soprattutto di meditazione concentrativa, possono dare una sensazione di distacco dalla realtà o da sé stessi.
Emergere di materiale emotivo “brutale”: un’eccessiva introspezione può far affiorare traumi o ricordi dolorosi più velocemente di quanto si riesca a elaborare.
2. Impatto sul funzionamento quotidiano
Riduzione della motivazione: se si medita per molte ore, alcuni riferiscono una diminuzione dell’energia o dell’interesse verso attività pratiche.
Isolamento sociale: il tempo dedicato alla meditazione può sottrarre spazio a relazioni e interazioni, con possibili effetti negativi a lungo termine.
3. Sovrastimolazione del sistema nervoso
Alcune tecniche, soprattutto quelle basate sul respiro rapido o su visualizzazioni intense, possono attivare troppo il sistema nervoso simpatico, generando insonnia o irrequietezza.
4. Cambiamento di percezione e valori
In alcune persone, pratiche molto frequenti possono alterare la gerarchia di valori o il rapporto con il corpo e il mondo in modo così rapido da creare disorientamento, soprattutto se manca un contesto di integrazione.
???? In sintesi: la meditazione non è intrinsecamente dannosa, ma “troppo” può diventare un problema se la frequenza, la durata o il tipo di pratica non sono calibrati sulle proprie condizioni psicologiche, fisiche e di vita. Tradizionalmente, infatti, nelle culture in cui è nata era accompagnata da un insegnante o da una comunità, proprio per monitorare e bilanciare gli effetti.