Condivisione e psicoanalisi


Scrivi una saggio sulla condivisione con un approccio psicoanalitico

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Condividere nell’inconscio: un saggio filosofico-psicoanalitico

1. Introduzione: dalla superficie all’abisso

Nelle nostre conversazioni precedenti abbiamo distinto diversi livelli di condivisione: risorse materiali, competenze, informazioni, sistemi morali e visioni gerarchiche. Abbiamo anche mostrato come accettazione, rifiuto e conflitto varino a seconda dell’“oggetto” condiviso e delle forme di potere implicate. Ora spostiamo il fuoco dall’esplicito all’inespresso: che cosa accade quando tali dinamiche sono guidate da pulsioni e fantasmi inconsci? Il terreno è quello, insieme fertile e insidioso, inaugurato da Freud e dalle scuole psicoanalitiche posteriori, dove la relazione tra soggetto e Altro è strutturalmente ambivalente—marcata dal desiderio di fusione e dal terrore della perdita di sé.


2. L’origine pulsionale della “proposta di condivisione”

Per Freud, il primo atto di condivisione è la primitiva esperienza della nutrizione: il corpo-madre che offre (o nega) il latte. In quell’atto il neonato non distingue ancora tra ciò che è sé e ciò che è Altro; l’“oggetto” è vissuto come parte del proprio corpo. Più tardi, l’instaurarsi del principio di realtà costringe l’Io a riconoscere un campo esterno, ma la traccia fantasmica di quella fusionalità persiste come desiderio di comunione totale.

Ogni proposta di condivisione—che si tratti di un pasto, di una password wi-fi o di un sistema morale—riattiva in miniatura tale desiderio. L’Io offre o chiede qualcosa perché, a livello inconscio, brama ricostituire quell’unità perduta. Perfino la redazione di un contratto aziendale può nascondere il bisogno regressivo di assicurarsi un “abito protettivo” materno: la clausola legale come coperta di Linus.


3. Accettare: economia libidica e investimenti narcisistici

L’accettazione di una proposta non è mai neutra. Dal punto di vista psicoanalitico, significa investire libido sull’oggetto condiviso e, soprattutto, sulla relazione che lo media. Due motivi principali:

  1. Gaudio narcisistico: “Vedermi” attraverso gli occhi dell’Altro che mi accetta produce un rafforzamento dell’autostima. Condividere software open-source, ad esempio, assegna al programmatore il ruolo di benefattore, rifornendo il suo ideale dell’Io.

  2. Gestione dell’angoscia: delegare responsabilità (in un fondo comune o in una gerarchia) è un antidoto all’angoscia di frammentazione; l’Altro superiore diventa oggetto-sé coesivo, garantendo continuità identitaria.

Accettare, tuttavia, comporta una perdita parziale di autonomia. L’Io deve cedere una quota di potere decisionale, momento che Winnicott descriverebbe come potenzialmente “impensabile” se l’ambiente primario non è stato sufficientemente affidabile. In assenza di tale fiducia originaria, l’accettazione si muta in sottomissione difensiva—mascherata obbedienza alla gerarchia per evitare il collasso psicotico.


4. Rifiutare ed esitare: la logica del contro-investimento

Se l’offerta rappresenta una promessa di fusione, il rifiuto segnala il timore opposto: venire inghiottiti. Nei termini di Bion, l’oggetto-relazione proposto può essere percepito come contenitore‐predatore. Il soggetto allora erige difese (iscritta in Freud come “fort-da”) scagliando l’oggetto lontano per mantenere il senso di continuità del Sé. Esitare è una fase liminale, caricata di ambivalenza: il desiderio di fusione lotta con la paura di dissoluzione.

Nei conflitti politici o religiosi, la minaccia esistenziale non risiede tanto nella dottrina dell’Altro quanto nella fantasia inconscia che l’Altro smascheri l’insufficienza dell’Io: se la mia Weltanschauung è “meno vera”, allora la mia identità implode. La violenza serve a silenziare quell’angoscia, proiettandola fuori di sé.


5. Gerarchie interiori: dal padre reale al Super-Io

La dimensione gerarchica accentua il lavoro delle istanze psichiche. Storicamente, la figura del sovrano o del CEO attualizza all’esterno la funzione paterna; sul piano intrapsichico, funge da supporto al Super-Io. Accettare la propria posizione nella scala sociale significa interiorizzare il “Padre che vede” e assorbire anche la sua legge. Il premio è l’appartenenza; il costo, la colpa potenziale.

Quando la gerarchia è percepita come illegittima, il soggetto può scegliere tra due strategie:

  • Revisione superegoica: sostituire la legge del Padre con un codice morale “più giusto”, nel tentativo di restaurare coerenza intrapsichica.

  • Forclusione: espellere la Legge ritenendola priva di fondamento, movimento che Lacan assocerebbe al rischio di psicosi sociale (il reale della violenza inonda la scena).


6. Dalla clinica alla polis: cura e trasformazione

Se le dinamiche di condivisione sono in gran parte inconsce, la prevenzione del conflitto non può limitarsi alla razionalità contrattuale. Occorre:

  1. Spazi di elaborazione simbolica: rituali, assemblee deliberative, pratiche artistiche dove le parti possano proiettare, riconoscere e rielaborare i propri fantasmi di fusione e di minaccia.

  2. Leadership come funzione materna-paterna sufficientemente buona: non autoritarismo, ma capacità di contenere l’ansia collettiva (Bion), trasformando l’angoscia caotica in pensiero condiviso.

  3. Educazione al desiderio plurale: insegnare a tollerare la differenza senza viverla come amputazione del Sé, posizione che Matte-Blanco descriverebbe come capacità di “pensare in due logiche” (simbolica e asimmetrica).


7. Conclusione: verso una politica dell’inconscio

Condividere è più che un atto gestionale; è il punto in cui si incrociano economia libidica, narrazione identitaria e ordine sociale. Accettare può nutrire, rifiutare può proteggere, ma entrambi possono degenerare se non si riconosce la trama inconscia che li sottende. Una filosofia che ignori tutto ciò rischia di restare confinata alla superficie normativa; una psicoanalisi che resti intra-clinica manca invece l’impatto politico.

Occorre allora una politica dell’inconscio: istituzioni capaci di leggere i sintomi (esitazioni, eccessi di obbedienza, escalation violente) come segnali di fantasmi insoddisfatti; pratiche di condivisione che prevedano non solo regole e incentivi, ma anche luoghi di cura simbolica. Solo così la tensione tra bisogno di fusione e esigenza di confine—tensione che origina con il primo atto nutritivo—può trasformarsi in convivenza creativa anziché in conflitto distruttivo.